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Patate dolci. Perchè inserirle nella dieta?

Se mangiamo una patata dolce invece di una patata bianca, avremo un'aumento dello zucchero nel sangue del 30% in meno.
Inoltre, rispetto alle patate normali, le patate dolci hanno un indice glicemico relativamente più basso.
Ricche di sostanze nutritive e di fibre solubili, presentano anche una concentrazione di carotenoidi relativamente alta, carotenoidi che giocano un ruolo importante nella risposta insulinica.
Come il caffè, le patate dolci sono ricche di acido clorogenico, anch'esso protagonista nella riduzione della resistenza all'insulina.
Le patate dolci, a differenza delle bianche, sono anche una fonte eccellente di vitamina C.
Diversi studi hanno mostrato che una dieta ricca di beta-carotene e vitamina C, due sostanze, come detto prima, presenti nelle patate dolci, rispetto ad una dieta povera di questi micronutrienti, riduce il rischio di sviluppare il cancro alla prostata.
Un altro studio, condotto presso l'Università di Harvard, ha messo in evidenza come una dieta ricca di beta-carotene, riduca il rischio di sviluppare il cancro del seno del 25%.
L'assunzione di patate dolci aiuta, infine, anche in casi di pressione alta, perchè ricche di potassio, in quantità maggiore rispetto alla banana.

 

 

Utilità del cromo picolinato

Il cromo è un micronutriente presente in tracce nel nostro organismo. Sin dalla fine degli anni '50 si è cercato di valutare il suo ruolo in varie problematiche metaboliche, prime fra tutte quelle legate alle dislipidemie e alla funzione insulinica.

Il cromo, nella sua forma picolinata, lo si trova in frutta, verdura, cereali, carne, pesce, uova, latte e derivati, in varie concentrazioni.
In particolare, ricchi di cromo sono i broccoli, noci, asparagi, funghi, carne di pollo e mele.

Un metastudio, pubblicato su "Diabetes technology and therpeutics" ha messo in relazione tra loro i risultati di 15 studi clinici, per un totalte di 1690 soggetti, che avevano come obiettivo quello di dimostrare, o meno, l'efficacia del cromo picolinato nel controllo glicemico e altre problematiche metaboliche.

Tutti e 15 gli studi hanno mostrato effetti salutari in almeno un parametro legato al controllo del diabete, incluso la dislipidemia.
Effetti positivi sono stati evidenziati nella riduzione di glucosio nel sangue, insulina, colesterolo e trigliceridi.

Inoltre è stata comparata la biodisponibilità del cromo picolinato con altri tipi di cromo, mostrando una maggiore capacità della forma picolinata, con maggiori effetti positivi nel controllo glicemico e lipidico.

Per quanto riguarda i soggetti affetti di diabete di tipo II, è stata dimostrata una sostanziale riduzione dell'iperglicemia e dell'iperinsulinemia, con una riduzione delle complicazioni legate al diabete di tipo II.

Il cromo picolinato, oltre ad assumerlo con la dieta, è possibile introdurlo nell'organismo sotto forma di integratore alimentare, previo consulto con uno specialista del settore.

Proteine del siero del latte vs. proteine di soia

Uno studio americano svolto presso il Dipartimento di kinesiologia dell’università del Connecticut e pubblicato sul Journal of the American College of Nutrition ha affrontato un tema molto dibattuto nell'ambito della nutrizione sportiva, ovverosia l'effetto che differenti tipi di proteine hanno sulle risposte fisiologiche all'esercizio fisico di resistenza. In questo studio, ben pianificato dal punto di vista metodologico, sono stati valutati gli effetti acuti di una somministrazione di due settimane, a rotazione, di 20 g di proteine del siero di latte, della soia e un placebo a base di carboidrati in soggetti giovani allenati. L'esercizio fisico da eseguire prevedeva 6 serie di 10 ripetizioni di squat eseguite all'80% del massimale.

Conclusioni: l'assunzione delle proteine di soia sembrerebbe ridurre l'incremento nei livelli di testosterone nei trenta minuti successivi alla fine dell'esercizio rispetto all'integrazione con quelle del siero di latte. Quest'ultime, inoltre, sembrerebbero far aumentare meno i livelli di cortisolo susseguenti all'esercizio di resistenza.

L’assunzione di supplementazioni di proteine altera la risposta fisiologica all’esercizio fisico con alcune differenze dovute al tipo di proteina utilizzata.

 

 

Correlazioni fra il consumo di caffè e il Diabete di Tipo 2

Uno studio pubblicato nell'aprile 2014 su "Diabetologia", condotto dall'Harvard School of Public Health, ha messo in luce la correlazione fra il consumo di caffè e l’abbassamento del rischio di sviluppare il diabete di tipo 2.

Lo studio ha esaminato gli effetti dell' incremento dell'assunzione di caffè e tè per 4 anni  con l'aumento o la diminuzione del rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 nei successivi 4 anni.
Inoltre è stata valutata se l’incidenza della  malattia cambiava con l’assunzione di caffè decaffeinato o meno.
Alla fine dello studio sono state analizzate 123723 persone.

E’ stato notato che un aumento del consumo di caffè, fino a più di una tazza al giorno rispetto alle abitudini, quindi un’assunzione fino a 360ml,  porta ad un abbassamento del rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 dell’11%.
Allo stesso tempo è stato segnalato un aumento del 17% nel caso di riduzione di consumo di caffè.

Questi dati non venivano confermati, invece, se l’aumento o la diminuzione del consumo riguardava il tè.

Chi consumava anche 3 tazze al giorno mostrava un 37% di possibilità in meno di sviluppare la malattia.

Cambiamenti nell’assunzione di caffè decaffeinato non portavano nessun effetto, né in positivo né in negativo, esattamente come per il tè.

La cosa che ha stupito i ricercatori dell’Harvard School of Health è che i cambiamenti in positivo del rischio di sviluppare la malattia erano presenti anche se le abitudini alimentari e relativi allo stile di vita rimanevano invariate.

Questo studio, affermano i ricercatori,  conferma tutte quelle teorie che vedono nell’aumento di consumo di caffè uno strumento per abbassare il rischio di sviluppare diabete di tipo 2.

 

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