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Maqui: studio clinico per valutare l'azione delle antocianine sui bio marker del danno ossidativo

Numerose evidenze scientifiche suggeriscono che i polifenoli dei frutti a bacca, e in particolare le antocianine e le delfinidine, hanno la capacità di proteggere contro le malattie associate all’età attraverso una varietà di importanti meccanismi. L’integrazione dietetica con polifenoli vegetali può essere una strategia vincente per ristabilire o mantenere un relativo stato di equilibrio nei processi di produzione di ossidazioni e di radicali liberi.


L’obiettivo dello studio condotto dal gruppo policentrico italiano e cileno è stato quello di studiare gli effetti biochimici e metabolici della somministrazione orale di antocianine di Maqui (Aristotelia chilensis) sulla perossidazione lipidica in soggetti volontari sani sovrappeso, di età compresa tra 45-65 anni, utilizzando un protocollo in doppio cieco randomizzato cross-over.

Lo studio prevedeva una somministrazione dell’integratore o del placebo per circa un mese, successivamente ai soggetti è stato somministrato, dopo cross-over, integratore o placebo per un ulteriore altro mese, con durata complessiva dello studio di 2 mesi.

In particolare si è testata l’efficacia di un trattamento della durata di 4 settimane nel proteggere i lipidi ematici e le cellule dei soggetti trattati dallo stress ossidativo. Parallelamente è stata valutata la capacità del trattamento con Maqui RX di ridurre i marker infiammatori.

Sono stati testati 42 soggetti ai quali è stato somministrato per via orale un estratto di Maqui (Delphinol®) (162 mg di antocianine) o placebo 3 volte al giorno per 4 settimane. Durante tutto il periodo dello studio, sono stati rilevati parametri del sangue e delle urine (prima, dopo la supplementazione e 40 giorni dopo il temine dello studio). Il danno ossidativo lipidico è stato valutato misurando il colesterolo LDL plasmatico ossidato circolante e altre sostanze ossidate nelle urine (gli isoprostani F2α totali). Sono state valutate anche misure antropometriche, pressione sanguigna e profilo lipidico.

Nel gruppo che aveva assunto l’integratore si è notato un miglioramento dei valori degli indicatori dello stress ossidativo e una diminuzione della perossidazione lipidica dopo somministrazione orale di Maqui. Questa osservazione può essere attribuita all'efficacia degli antociani estratti dalla bacca di Maqui nel migliorare i meccanismi antiossidanti di difesa e di conseguenza di aumentare l’azione protettiva contro l’infiammazione.

 


Questo studio consente di stabilire una base per prendere in considerazione l'uso dei polifenoli per lo sviluppo di nuove strategie nutrizionali per gestire una corretta condizione di salute e contro specifiche malattie età-correlate.

Quante proteine assumere? Ultimi aggiornamenti

Le proteine sono costituenti fondamentali delle cellule viventi, partecipano alla costituzione dei sistemi enzimatici, dell’emoglobina e degli anticorpi. Dal punto di vista metabolico, hanno un doppio ruolo: plastico ed energetico. In particolare vengono utilizzate per scopi non plastici quando le richieste energetiche dell’organismo non sono soddisfatte dai livelli di carboidrati e di lipidi introdotti con la dieta, come può accadere negli sport di resistenza o durante l’allenamento di forza.

In queste particolari condizioni le proteine contribuiscono alla produzione energetica anche per il 10-15% del totale. Non bisogna dimenticare però che è stato dimostrato come l’uso di proteine per scopi energetici raggiunga i livelli massimi quando gli esercizi vengono svolti in uno stato di esaurimento di glicogeno. Tutto ciò sottolinea l’importanza del ruolo svolto dai carboidrati nel limitare il consumo proteico e suggerisce che essi possano attenuare il catabolismo proteico durante l’esercizio fisico (Wagenmakers et al., 1991).

La quantità di proteine necessaria per una prestazione atletica ottimale è fonte di dibattito scientifico almeno dal 1840 quando il fisiologo tedesco Von Liebig ipotizzò che il carico proteico del muscolo rappresentasse la principale fonte energetica utilizzata per la contrazione muscolare durante l’esercizio fisico (Shenstone et al., 1895).

 

Le osservazioni di Von Liebig hanno portato alla credenza diffusasi nel 19° e nel 20° secolo la quale i lavoratori nelle industrie esposti quotidianamente a lavori fisici pesanti e a un grosso dispendio energetico avessero una richiesta proteica maggiore rispetto agli individui sedentari.
Ancora oggi, è abitudine diffusa tra gli atleti, sia amatoriali che professionisti di vario genere, attuare un’alimentazione che è caratterizzata da un introito proteico decisamente elevato che varia dai 4 ai 6 gr/kg di peso corporeo al giorno, traguardo questo che è molto spesso raggiunto attraverso molteplici supplementazioni amminoacidiche (Gibala et al., 2007).

In realtà, l’approccio utilizzato dal fisiologo tedesco, fu ribaltato già nei primi anni del ‘900 quando si dimostrò che erano i carboidrati e non le proteine a rappresentare la maggiore fonte di carburante durante l’esercizio fisico; infatti per tutto il 1900 la ricerca scientifica si è concentrata principalmente sul ruolo dei grassi e dei carboidrati tralasciando quello delle proteine.

Alcuni lavori dimostrano come la RDA giornaliera stabilita per gli individui sedentari (0.8-1.0 g/kg) sia insufficiente per atleti coinvolti in esercizi pesanti. Dagli studi si evince che tale dose risulta insufficiente persino per soggetti che si dedicano ad attività intense di fitness con conseguente aumento dell’ossidazione delle proteine corporee (Lemon et al., 1997).

Tarnopolsky, utilizzando il bilancio d’azoto, ha dimostrato che l’intake giornaliero ottimale per gli atleti di forza deve aggirarsi tra 1.4 e 2.4 gr/kg e che quindi l’ RDA per tali atleti è pari a 1.76 gr/kg mentre per soggetti sedentari è di 0.89gr/kg.

Negli atleti di forza infatti, contrariamente a quanto riscontrato nei soggetti sedentari, l’aumento dell’introito proteico alimentare si riflette in un aumento della sintesi proteica e quindi della massa muscolare. D’altra parte, ulteriori studi, hanno dimostrato che, per questi atleti, se è vero che aumentando l’introito proteico si ha un lieve aumento della massa muscolare, è pur vero che se l’introito supera i 2.4gr/kg si ha solo un incremento della ossidazione degli amminoacidi senza l’atteso aumento della sintesi proteica (Fern et al., 1991). Questo studio sembra fissare il tetto dell’assunzione giornaliera ottimale di proteine a 2.4gr/kg.

L’incremento del fabbisogno proteico sembrerebbe principalmente legato alla necessità di recupero e di ripristino di proteine muscolari danneggiate durante l’allenamento e alla sintesi di proteine mitocondriali e sarcoplasmatiche (Cambpell et al., 2007).

Sulla base delle ricerche scientifiche oggi a disposizione, la comunità scientifica risulta ormai d’accordo sull’esistenza di un effettivo modesto aumento del consumo proteico abbinato a particolari attività sportive, e quindi l’assunzione giornaliera di proteine raccomandata per gli sportivi professionisti risulta aumentata da 1 a 1.5gr/kg di peso corporeo ideale al giorno. In particolari condizioni fisiologiche, quali l’accrescimento e il potenziamento muscolare, l’attività di endurance e di elevata forza, si può incrementare l’apporto proteico fino a 1.8-2.4gr/kg di peso corporeo.

 

Pur considerando l’incremento del fabbisogno energetico tipico degli sportivi professionisti di forza e di resistenza, è possibile affermare che anche una dieta contenente il 10-12% di proteine può avere un carico proteico sufficiente a soddisfare il suddetto aumento nella richiesta proteica, visto che l’introito calorico giornaliero stimato per alcuni atleti professionisti può essere anche di 2-3 volte maggiore a quello consigliato ai soggetti sedentari. D’altra parte, il problema che potrebbe scaturirne è che per raggiungere gli alti livelli di proteine raccomandati si possa essere indotti a mangiare grossi quantitativi di carne, introducendo anche grassi, purine e colesterolo e quindi, al fine di limitare i danni dovuti ad eccessi di queste molecole nell’organismo, si consiglia ai soggetti con elevate necessità proteiche l’utilizzo anche di integratori. 

Carboidrati: quantità diverse per sport diversi

Il carburante principale per l’attività fisica, soprattutto per gli esercizi aerobici e ad alta intensità, è rappresentato dai carboidrati. Sappiamo che i carboidrati si dividono in monosaccaridi, come il glucosio e il fruttosio, disaccaridi, come il saccarosio e il lattosio, e polisaccaridi, di cui il più importante è il glicogeno, che rappresenta una importante riserva energetica per l’organismo e si trova depositato nel fegato e nei muscoli.

L’equilibrio tra i vari nutrienti energetici deve essere tale che i carboidrati, fonte energetica primaria e limitante per qualsiasi disciplina sportiva, siano introdotti così da coprire il 55-70% delle calorie totali giornaliere, idealmente suddivise in 10-15% oligosaccaridi e 40-60% polisaccaridi.

Un’adeguata introduzione di carboidrati non solo serve a “risparmiare” le proteine dell’organismo, ma serve soprattutto come “primer” per il catabolismo degli acidi grassi, perché come è ormai noto i grassi bruciano al fuoco dei carboidrati.

Il catabolismo degli acidi grassi, infatti, in parte è condizionato dal catabolismo dei carboidrati in quanto la loro deplezione comporta un rallentamento dell’attività del Ciclo di Krebs che si traduce in una riduzione del catabolismo degli acidi grassi (Richter & Sahlin, 1992).

Una dieta a basso contenuto di carboidrati, quindi, compromette rapidamente le riserve energetiche necessarie per un’intensa attività fisica e/o un allenamento regolare.

Escludere dalla dieta le energie che provengono dai carboidrati, porta, pertanto, l’individuo ad allenarsi in uno stato di relativa deplezione di glicogeno. Questo può causare una certa “stanchezza” che rende difficile la prestazione fisica sia durante l’allenamento che durante la gara (Coggan et al., 1991). 

Con la riduzione del glicogeno muscolare si riducono l’intensità del lavoro muscolare e quella dell’esercizio fisico. La riduzione del glicogeno muscolare si associa inoltre anche ad infortuni muscolari e a depressione del sistema immunitario (Rodriguez et al., 2009). Non va inoltre dimenticato che, mentre il glicogeno epatico viene recuperato abbastanza velocemente, quello muscolare non si reintegra molto facilmente anche se la dieta contiene un alto livello di carboidrati. E’ stato infatti dimostrato che sono necessarie circa 24h per tornare a livelli adeguati dopo un esercizio intenso e prolungato (Coyle et al., 1993).

Talvolta, nonostante un’adeguata assunzione di carboidrati, le concentrazioni di glicogeno muscolare, successive ad una gara/allenamento molto stressante possono non essere completamente ristabilite nemmeno nelle 24-48h successive. In questo caso dovrebbe essere ridotto l’allenamento oppure aumentati i tempi di recupero tra due sessioni, onde evitari il rischio di infortuni. Inoltre, i benefici che si possono trarre favorendo un recupero rapido e completo tra due sessioni di allenamento si possono trasformare, nel tempo, in un migliore adattamento all’allenamento stesso e ad un miglioramento della performance (Hawley et al., 2007).

Durante le sessioni di gara o allenamento, quando si ha bisogno di grande quantità di energia in tempi brevi, o dopo, per reintegrare, è fondamentale l’assunzione di zuccheri semplici, presenti naturalmente nella frutta, latte, miele e, in piccole concentrazioni, in verdure e cereali (maltosio).

E’ ormai chiaro che l’elemento più importante nella strutturazione delle riserve di glicogeno muscolare è rappresentato dalla quantità di carboidrati assunta con la dieta.

Importante è notare che, a differenza dei depositi di lipidi, quelli del glicogeno sono molto limitati e, anche quando raggiungono i livelli massimali, sono sufficienti a coprire dispendi energetici dell’ordine solo di 2000 kcal.

Il fabbisogno giornaliero di carboidrati comunque non può essere considerato fisso in quanto è strettamente relazionato al tipo di sport praticato e quindi dipende dall’intensità e dalla durata dell’esercizio fisico che l’atleta deve sostenere. In quest’ottica, piuttosto che definire la % di apporto calorico con la dieta, è opportuno parlare di intake in grammi per kilogrammo di peso corporeo. Recenti raccomandazioni circa l’assunzione di carboidrati riconoscono per alcuni gruppi di atleti quantità diverse in funzione della dimensione corporea e del carico di lavoro.

 

Il target di 8-10g/kg per carichi particolarmente intensi e 5-7g/kg per carichi più moderati, rappresentano una raccomandazione generica che deve essere adeguata agli obiettivi nutrizionali e ai riscontri prestazionali di ogni singolo atleta. Ad esempio, per quanto riguarda i maratoneti e i triatleti sarebbe preferibile un apporto di 10g/kg di peso corporeo giornalieri. Gli sprinters e i sollevatori di peso invece hanno bisogno di 5g/kg.

Alimentazione e integrazione negli sport di squadra

Per sport di squadra, usualmente, si intendo quegli sport dove si alternano scatti, movimenti esplosivi, movimenti basati sull’uso della forza, momenti di riposo, conosciuti anche come sport a carattere misto aerobici/anaerobici.

All’interno di un team, di una squadra, esistono poi vari ruoli, ognuno caratterizzato da un tipo di movimento particolare e da un tipo di prestazione caratteristica.

 

La nutrizione, la supplementazione e l’integrazione devono quindi tenere conto delle diversità riscontrabili fra i diversi tipi di sport di squadra e, soprattutto, tra i diversi ruoli che compongono una squadra.

Altra caratteristica fondamentale di un approccio nutrizionale personalizzato è la calendarizzazione di alcuni eventi sportivi ai quali quella squadra e quell’atleta devono partecipare.

Il tipo di attività fisica, l’intensità, la durata e la frequenza degli allenamenti e delle gare, avranno un ruolo determinante nella stima del fabbisogno energetico-nutrizionale giornaliero.

Molti studi hanno dimostrato quanto sia facile trovare disidratazione in atleti d’elite. La disidratazione è direttamente correlata alla ridotta capacità di esercizio, maggiore percezione dello sforzo e decremento delle prestazioni mentali e di abilità del gesto atletico.

I carboidrati, mentre una volta venivano considerati come la base della nutrizione dello sportivo, ora sono diventati oggetti di studio e dibattiti. In molte discipline sportive, bassi livelli di carboidrati sono un fattore determinante per l’affaticamento e la riduzione delle prestazioni. L’esigenza di carboidrati dell’atleta sono strettamente legati alla variazione di carico negli allenamenti di giorno in giorno, i vari micro cicli e macrocicli nel calendario, e al diverso livello dell’atleta.

Gli atleti, quindi, dovrebbero variare il loro apporto di carboidrati in base alla presenza o meno di determinate situazioni fisiche e atletiche.

Ci sono evidenze sulla tempistica di assunzione di determinati nutrienti e sul loro effetto nel post allenamento. Il consumo di carboidrati insieme a proteine dopo l’esercizio può contribuire a ridurre i DOMS presenti nei giocatori in molti sport di squadra (Cockburn et al., 2010), anche se questo non è un punto di vista sempre condiviso (Pasiokos et al., 2014).

Condiviso un po’ da tutti è il fatto, invece, che una ingestione di proteine dopo l’esercizio fisico  fornisce un supporto considerevole ad un aumento della sintesi proteica.

Le proteine del siero del latte sarebbero le migliori da inserire in questo profilo grazie alla presenza di leucina e alla rapida digeribilità.

Ha senso, tuttavia, per ottimizzare il recupero, distribuire le proteine nei pasti e negli spuntini consumati nel corso della giornata, soprattutto nelle 24h dopo un allenamento intenso.
Da sempre esiste un dibattito sul fabbisogno totale di proteine negli atleti, ora fissati genericamente tra circa 1.2-1.6 g/kg di massa corporea al giorno.

Nello sport, lo scopo principale dell’uso dell’integratore deve essere quello di aiutare gli atleti a mantenere uno stato di salute ottimale nell’ottica di prevenire eventuali infortuni. I supplementi e gli sports foods, invece, sono ottimizzati per tollerare e ottimizzare un livello maggiore di allenamento e per velocizzare il recupero.

Stando alla letteratura scientifica, i supplementi che godono di maggiore interesse da parte della comunità scientifica nel capire i pro e i contro del loro utilizzo in atleti di sport di squadra sono: la creatina, le proteine, gli amminoacidi essenziali e ramificati, sport drink, caffeina e beta alanina.

Gli atleti di sport di squadra vanno educati ad una buona e regolare alimentazione qualitativa che rispetti anche la tempistica di assunzione dei nutrienti. Integrare diventa necessario in alcuni casi per evitare carenza nutrizionali e la supplementazione adeguata e supportata dalla letteratura scientifica può aiutare la dieta dell’atleta ad ottimizzare le prestazioni e migliorare il recupero.

 

 

 

 

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